Ciò che colpisce, in questa anatomia pubblica, è la carica di simbologia che si porta dietro.
Che significano quei grovigli organici che si disseccano all’improvviso, e si rattrappiscono? E’ un’umanità messa a nudo, carne viva e struttura compressa. Mi vien su come un fastidio, un’inquietudine. Al di là dell’epitelio di un pittura così precisa e nel contempo così convulsa, scopro il racconto mesto di una condizione che ci coinvolge tutti. La metafora letteraria può prendere la mano: me ne rendo conto. Bresciani non è che un pittore alla ricerca di una sua espressione: con tutti i suoi slanci e le sue debolezze, forse con i nervi tesi e con, dentro, una dolorosa amarezza. Egli lavora sul terreno infido dell’ambiguo, o meglio dell’ambivalnte: allude e subito si tira indietro, accenna e sparisce. Sono macchine mostruose o lacerti di un’umanità, ahimè. atomizzata? L’occhio si perde nella vertigine dell’intrico, cerca di venire a capo del labirinto: la sua meta è sempre, come non può non essere, la ‹<regola», cioè la convenzionalità fella forma.
Qui invece uno strano sortilegio invischia lo spettatore, quasi impedendogli di ristrutturare mentalmente lo schema che si sfalda davanti, senza capo ‘nè coda, senza vie d’uscita. Pittura lucida, dura, secca, ma con dolcissime crudeli morbidezze che giocano a fior di pelle; congegno entro cui si perde e il senso e l’intelletto. Posso cercare le ascendenze di questo grattar con l’unghia sotto la scorza di una sensibilità sottesa allo spasimo; posso cercare di scoprire gli addentellati, i nessi che guidano il pittore. Trovo Sutherland, soprattutto: cioè i grovigli spinosi di una struttura organicovegetale inchiodata al microscopio.
La radice surrealista è evidente. Ma il colore si fa talvolta lirico, carico di nostalgia, pur entro un contesto che resta pauroso, incombente, kafkiano. Che cosa cerca questo pittore cosi indiscreto? Vorrei vedere, all’interno di queste viscere meccanizzate. il barlume d’una speranza. Ma la speranza non è un dono che si possa attingere dal di fuori, con un gesto: è — o almeno può essere — il frutto di una conquista sofferta. Forse i quadri sono l’occasione Oèr una meditazione di fondo sulle piaghe dell’uomo d’oggi. Non vorrei forzare troppo l’interpretazione: ma quando tutto si risolve e si decanta nella pittura, come in questo caso, è possibile anche la speranza.
PAOLO RIZZI
Venezia, Ottobre 1973